Camaleonti.
Vi è mai capitato di sentirvi travolti? Troppo lavoro, la gestione della casa, la spesa, la famiglia, quel libro che proprio vorreste leggere o quella serie televisiva che tanto vorreste vedere. Persino incontrare gli amici per bere insieme un buon bicchiere di vino e fare quattro chiacchiere sembra un impegno che, aggiungendosi ai tanti, non fa che aumentare il senso di sopraffazione.
E, come camaleonti, cambiare abito continuamente, passando da un’attività all’altra, per indossare il vestito più idoneo al contesto e all’attività. Fare, fare, fare, senza più avere il tempo di essere, di sentire cosa proviamo, quali sono i nostri desideri. Fare, fare, fare, riposando e mangiando ad orari prestabiliti, a volte troppo, o troppo poco. In un continuum di azioni, dove persino queste attività che dovrebbero soddisfare i nostri bisogni primari quando questi si manifestano, vengono invece svolte in automatico. Cambiare colore continuamente, fino a sentirci travolti da questo ritmo sostenuto oltre misura, e poi arrivando all’ultimo stadio: non sapere più qual è il nostro colore originario. Talvolta, con un profondo senso di smarrimento e mancanza di motivazione. Suona familiare? Che fare? Da dove partire per interrompere il circolo vizioso, per ritrovare e riprendere in mano le redini del senso della nostra vita?
Tutto triste, il camaleonte si rese conto che, per conoscere il suo vero colore, doveva posarsi sul vuoto. (Alejandro Jodorowsky)
Si tratta di un vuoto fertile, che è possibilità di ascolto e di crescita, possibilità di ri-prendere consapevolezza dei nostri sensi e delle nostre emozioni, del nostro corpo e della nostra dimensione più intima, della nostra essenza. É spazio dove osservare senza giudizio, al di fuori di tutti quei rumori dati dalle nostre interpretazioni, credenze, influenze culturali, esperienze. Un atto, un momento, che il filosofo Friedlander ha definito come il preludio all’atto creativo, fondamentale alla nostra evoluzione e al nostro progresso.
Occorre avere ben chiaro, però, che entrare in contatto con il vuoto fertile non è qualcosa che avviene da un momento all’altro, semplicemente mettendoci comodamente in silenzio per conto proprio in uno spazio sufficientemente isolato e tranquillo. Entrare in contatto con il vuoto fertile richiede un passaggio preliminare, spesso lungo e faticoso, e che consiste nell’imparare a stare in contatto con il nostro caos interno. Nell’osservare, con pazienza e accettazione, l’andirivieni dei pensieri che affollano le nostre menti, incapaci di trovare lo stato di quiete, ormai assuefatte al pieno, alla pianificazione, alla programmazione, al rimuginio.
Occorre interiorizzare che il primo passo non ci porta dove vogliamo andare, ma ci toglie da dove siamo, e per questo ringraziare la frustrazione con fiducia, perché è in lei che possiamo riconoscere il primo passo consapevole verso il vuoto fertile, verso l’atto creativo, verso il nostro colore originale.
Cristina Perillo
(per rispondere e per commentare basta scrivermi)