Se nasci pesca, non morirai albicocca.
Joseph Zinker, psicoterapeuta, ma anche artista, poeta, scrittore, amava suggerire ai suoi studenti di guardare la persona che avevano di fronte durante una seduta di psicoterapia nello stesso modo in cui avrebbero guardato un tramonto o una montagna, accogliendone, cioè, la visione con piacere. Raccomandava loro, soprattutto, di prenderla per quello che era. Dopo tutto, diceva, è quello che si fa anche con un tramonto. A nessuno verrebbe in mente un pensiero del tipo “questo tramonto dovrebbe essere più rosso”.
A me piace pensare che il cliente di un processo di counseling, e ognuno di noi, possa vedere se stesso in questo stesso modo, accettando se stesso, ma anche l’Altro e le diverse situazioni e contesti in cui si trova, esattamente così come sono. E anche come non sono. Insomma, così come si manifestano, senza immaginare, o ancor peggio tendere verso qualcosa di diverso.
A scanso di equivoci, non si tratta di uno stato di rassegnazione.
Mentre la rassegnazione è una resa passiva, un atto totalmente statico, è credere che le cose rimarranno per sempre nello stesso modo, l’accettazione è un processo attivo, dinamico. Significa compiere quel passo preliminare necessario al cambiamento, che è fare i conti con le cose così come stanno. Per attivare qualsiasi cambiamento, dobbiamo partire da dove siamo, ma come farlo, se ci ostiniamo a desiderare nel presente che noi stessi, gli altri, le situazioni siano diversi da quel che sono? Accettare non significa, dunque, rimanere per sempre nello stesso punto. Significa prendere contatto con la realtà e ripartire da lì, ammettendo in tutta sincerità, con un atto di onestà intellettuale verso se stessi, che un tramonto non può essere più rosso di com’è, ma che possiamo documentarci sui luoghi migliori da cui osservare tramonti indimenticabili e fare in modo di poterci andare.
Cristina Perillo
(per rispondere e per commentare basta scrivermi)