Non dirmelo. Lo so.
A ognuno di noi è senz’altro capitato, anche più volte nella stessa giornata e senza rendercene pienamente conto, di interpretare il comportamento di qualcuno, di finire la frase di qualcun altro, o di spiegare e giudicare la reazione o il linguaggio paraverbale di chi ci sta di fronte.
Facciamo un esercizio di immaginazione. Proviamo a focalizzare l’attenzione su una sola di quelle volte in cui si è verificato un comportamento del genere da parte nostra. Quella volta in cui abbiamo finito la frase di nostro marito, il quale ha subito reagito malamente, perché non lo abbiamo compreso, quando in realtà non lo abbiamo lasciato finire di esprimere il concetto fino in fondo. Quell’altra in cui abbiamo pensato che il collega che ci ascoltava fosse turbato o contrariato da quanto stavamo dicendo, e magari stava invece faticando a concentrarsi, perché aveva dormito male la notte prima e riusciva a mantenere l’attenzione solo con un certo sforzo. Quella volta che, alla fine di una relazione amorosa, abbiamo dato a noi stessi molteplici spiegazioni e ragioni imputate all’ex, che, dal nostro punto di vista, non ne aveva date a sufficienza.
Ecco, focalizziamo l’attenzione su uno solo di questi episodi. Ci siamo noi, davanti a una palla di cristallo, con tanto di turbante. Letteralmente, indoviniamo i pensieri, le emozioni, i sentimenti, le ragioni di qualcun altro.
Eccedo e sdrammatizzo, ma questa è la postura che assumiamo ogni volta che pensiamo di conoscere così bene l’altro, da poter concludere la sua frase, magari anche solo mentalmente, e interpretarne le espressioni del viso e il comportamento.
In realtà, così facendo, rischiamo di restare ancorati alle nostre convinzioni, quando non addirittura di restare intrappolati dalle nostre paure e insicurezze (senz’altro si sta annoiando a morte, mentre parlo: guarda che faccia!), o dai nostri desideri e aspirazioni (so che, come me, vorrebbe comprare una casa più grande: è per questo che parla della situazione mutui), o ancora dell’autoinganno, detto anche “raccontarsela” (mi ama, ma mi ha lasciata perché non è ancora pronto per impegnarsi in una relazione stabile). Tutte ipotesi plausibili, magari, ma non certe, in quanto non esplicitate.
Così facendo, dunque, vestendo i panni dell’indovino, rischiamo di restare ancorati a delle mezze verità, a delle possibili verità. Che in quanto tali sono anche delle possibili falsità e nostre proiezioni. In cuor nostro, sappiamo che non ne abbiamo verificato la fondatezza e, in questo modo, queste mezze verità irrisolte si ripresentano alla mente, diventando talvolta pensieri ricorrenti che non riusciamo a lasciare andare. Né tanto meno riusciamo a comprendere il perché si riaffaccino alla nostra coscienza, talvolta anche in momenti inaspettati, mentre magari stiamo prendendo un caffè con un’amica, in uno dei preziosi momenti di calma della settimana. Ammorbando, ça va sans dire, anche lei.
Cosa fare, allora, se ci rendiamo conto che stiamo mettendo in campo uno di questi comportamenti? Può valere la pena evocare la nostra immagine di chiaroveggenti, vestiti con tanto di tunica e provvisti di incensi e interiora pronte all’uso. Fare un bel sorriso interiore. Chiedere all’altro spiegazioni.
Cristina Perillo
(per rispondere, per commentare, per un incontro conoscitivo basta scrivermi)