Il linguaggio della pazienza.
“Sto spendendo energie.”
“L’anima viaggia a cinque chilometri all’ora.”
Sono due frasi scritte ognuna su un post-it colorato attaccato sulla parete di fronte alla scrivania dove trascorro una buona parte della mia settimana. Sono ben visibili e leggibili in stampatello a grandi lettere.
La prima frase ha a che fare con l’impazienza di fare. Quando, chiacchierando con il mio counselor circa un anno fa, gli dissi di sentirmi lenta e di sentirmi frustrata perché avrei voluto produrre lavorativamente più azioni di quanto già facessi, e di conseguenza più risultati, ci impiegammo molto meno del previsto a risolvere questo tema. Ci impiegammo un solo incontro. Fu sufficiente per me riuscire a guardare dritto in faccia il fatto che ogni gesto quotidiano, anche rispondere a una mail, per non parlare di processi più complessi, producono un risultato, magari non immediatamente visibile, e comportano un dispendio di energia. Fu sufficiente per me riuscire a guardare dritto in faccia questa semplice verità, che avevo temporaneamente perso di vista, impegnandomi poi a uscire dal vortice del fare, con rinnovata pazienza verso me stessa, giorno dopo giorno.
Ma è la seconda frase che ha conquistato il mio cuore. “L’anima viaggia a cinque chilometri all’ora” riguarda l’impazienza dell’essere, quel desiderio scalpitante e fiammeggiante di cambiamento, che proviamo quando intraprendiamo un percorso evolutivo, di qualunque natura esso sia: introdurre pratiche di mindfuness nella nostra quotidianità (e, con le pratiche, un'attitudine improntata alla consapevolezza), o trasformare un preciso aspetto del nostro modo di stare nel mondo o del nostro carattere, per il quale stiamo facendo magari un percorso di counseling o di psicoterapia.
È chiaro che trasformazioni di questo tipo richiedono tempo, energia psichica, emotiva e fisica, disciplina, pazienza. Pazienza, come mi ricordano entrambi i messaggi scritti sui due post-it. Perché ogni cosa, ogni processo, ha un proprio tempo di maturazione, indipendente da quanto mordiamo il freno.
La seconda frase, però, dicevo, ha conquistato il mio cuore. Porta con sé una certa delicatezza, una certa gentilezza, una certa benevolenza che mancano alla prima. Porta con sé le parole e il ritmo della pazienza - ci basti solo confrontare i verbi viaggiare e spendere - , una disposizione d’animo da coltivare quindi con una tolleranza che passa anche, forse soprattutto, dai pensieri e dalle parole che rivolgiamo a noi stessi.
Cristina Perillo
(per rispondere e per commentare basta scrivermi)